giovedì 30 ottobre 2014

La Biblioteca Classica di Raffy: Chi ha paura di Jane Austen?

Per una ragazza della Reggenza, come Jane Austen, le nozze erano questione di vita o di morte. Rimanere zitelle non era solo una grossa delusione o motivo di imbarazzo nelle riunioni di famiglia, ma era anche una catastrofe economica: un marito era l'unico che potesse salvare una donna dal passare la vita ad elemosinare un tozzo di pane al fratello maggiore (unico erede legale) o a trascinarsi col sedere a terra. Tutto questo spiega perché i romanzi di Jane ruotino quasi esclusivamente intorno ad una torta nuziale. Per le lettrici dell'epoca, insomma, erano dei veri e propri thriller. Altro che Harmony e Il diario di Bridget Jones. Alla fine, quando la protagonista riusciva finalmente a impalmare un ricco baronetto, si provava lo stesso sollievo di quando uno dei personaggi di Final Destination riesce per un soffio a scampare alle grinfie della Morte.
Non che nelle biblioteche dell'epoca mancassero altri libri da brividi: il romanzo gotico era talmente popolare che una giovanissima Jane Austen decise di scriverne una parodia. Il risultato è Northanger Abbey, uno dei suoi romanzi più divertenti e divertiti. Che si tratti di una parodia è già evidente dalla descrizione dell'eroina di questa storia, Catherine Morland, che ha poco a che vedere con le svenevoli, pallide fanciulle che nei romanzi gotici si ritrovano quasi sempre invischiate in una spirale senza fine di misteri, crimini ed orrori. La vita di Catherine non potrebbe essere più noiosa, priva di spaventi e a prova di cardiopatico: suo padre non ha mai pensato di chiuderla a chiave in una stanza, per esempio, e sua madre non è morta di parto come le delicate genitrici delle eroine gotiche. Niente corse a perdifiato giù per scalinate a chiocciola, forzieri chiusi a chiave, apparizioni spettrali o passaggi segreti nascosti dietro la libreria.
Per questo Catherine decide di lasciare la sua banalissima vita di campagna e partire con degli amici di famiglia alla volta di Bath, che più che una città, all'epoca era un grande villaggio vacanze dove, se non un marito, almeno un giro di valzer con un animatore lo rimediavi di sicuro. Subito Catherine si ritrova ad affrontare una prima, agghiacciante prova di sopravvivenza: un affollatissimo ballo con la sua accompagnatrice - la vanitosa signora Allen, a cui interessa solo non sgualcirsi il vestito -, senza conoscere nessuno, senza che nessuno la inviti a ballare, seduta all'estremità di un tavolo già occupato da una numerosa comitiva che non ha la minima intenzione di rivolgerle la parola o di offrirle anche solo una sbeccata tazzina del tè più annacquato. Sembra quasi di sentirlo, l'imbarazzo della nostra eroina, quella sensazione di "essere in disgrazia agli occhi del mondo" descritta con effervescente, irresistibile ironia.
Ma Catherine non sarà sola a lungo. Presto incontra il giovane Tilney, che "se non è proprio bello, ci va molto vicino" e che la conquista col suo spirito e la sua pacatezza. Anzi, col tempo Catherine penserà di aver conosciuto anche troppa gente, tipo la sua amica Isabella, regina dei passatempi vacanzieri (lo shopping, i pettegolezzi sui flirt estivi e l'individuazione dei tipi strambi da deridere), e suo fratello, la peggior razza di maschio, quello che è innamorato della propria voce, che non sa parlare altro che della propria carrozza e di quanto sia veloce il proprio cavallo, e il cui unico interesse è stimare il prezzo delle cose, il conto in banca della gente e la distanza da un posto all'altro (una noia abissale.) Eppure, non so come, ma Jane Austen riesce a tenermi incollato alle pagine anche se i personaggi stanno discutendo della qualità della mussola indiana o dibattendo su quale dei due sessi sia più versato nello stile epistolare.

Una cartolina vintage a tema Halloween.
I giorni trascorrono monotoni a Bath, e Catherine e la sua amica Isabella passano tutto il tempo a leggere romanzi gotici come I misteri di Udolpho di Ann Radcliffe (ne ho scritto una breve parodia qui.) Il signor Tilney, per cui nel frattempo la protagonista si è già presa una sbandata che non vi dico, è sparito dalla circolazione. Non si fa vedere alle terme, nè a bordo piscina, nè al torneo di calcio balilla. Catherine dà per certo che sia stato vampirizzato, o rapito dagli alieni o segregato nella sala delle torture di una sadica nobildonna, e, per distrarsi, si immerge nella lettura dell'equivalente ottocentesco della collana Piccoli Brividi, in attesa che il suo amore riappaia (anche in forma ectoplasmatica.)
Ciò che rende Catherine così simpatica è il suo essere "quasi carina", non particolarmente brillante, ignorantella e, in più, sfigatissima. Per una cosa che le va bene, altre dieci le vanno a rotoli. Le sue disavventure le abbiamo provate tutti, o almeno io le ho provate: passare giorni senza aver un bel niente da fare e poi essere contesi, da un lato, dai tuoi amici e, dall'altro dall'oggetto del tuo interesse amoroso, che pretendono entrambi di vederti lo stesso giorno e alla stessa ora. La tragedia degli appuntamenti mancati, dei rifiuti sofferti, del "se l'avessi saputo prima non avrei preso altri impegni", senza contare la tortura inflitta dalla solita coppietta di piccioncini che pretende di averti con loro per tutto il tempo come spettatore della loro beatitudine, mentre tu vorresti essere altrove, magari a cercare qualcuno con cui tubare a tua volta anziché brillare della loro luce riflessa.
Finalmente, però, rispunta fuori il signor Tilney, più affascinante che mai, e Catherine, zitta zitta, riesce a rimediare, da quella che spera diventi presto sua cognata, un invito a trascorrere un po' di tempo nella tenuta di famiglia, Northanger Abbey. Solo a sentirne pronunciare il nome - Northanger Abbey - la testolina impressionabile di Catherine se la figura già come un rudere medievale, lugubre e misterioso, teatro di efferati delitti e indicibili segreti. E Tilney, quella vecchia volpe, si diverte ad eccitare la sua suggestionabile fantasia, forse conscio del fatto che non c'è miglior scusa della paura per far cadere una fanciulla tra le proprie braccia.
Quando arriva nel luogo tanto vagheggiato, però, la nostra eroina rimane delusa dalla "modernità" di Northanger. In un certo senso è una hipster ante litteram, un'oltranzista del vintage: schifa qualunque mobile o oggetto sia posteriore al quindicesimo secolo. E a giudicare dai suoi discorsi con Tilney su ciò che è pittoresco e su come rappresentare al meglio un paesaggio, non è da escludere che, se avesse potuto, sarebbe stata dipendente dai filtri di Instagram.
Insomma, Catherine Morland è una di noi. Mi è difficile non riconoscermi in lei, soprattutto per quel che riguarda la sua incapacità, tutta donchisciottesca, di distinguere tra realtà e immaginazione. Detto tra noi, il sottoscritto è stato capace di telefonare la sua migliore amica per questo genere di turbamenti:
"Pronto, Anny? Ti disturbo? Sono nel salotto di casa mia, dovrei andare in bagno a fare pipì ma... ho paura."
"Di cosa, Raffy?"
"Di Satana..."
"..."
"E' che sto traducendo dei passi del Paradiso perduto per l'esame di letteratura... Lo sapevo che dovevo farlo di mattina! Di sera mi suggestiono troppo!"
"Raffy! Pensa a qualcos'altro... chessò, al film di ieri con Michael Fassbender?"
"No, Anny, è ancora peggio: ho sempre pensato che Michael Fassbender sarebbe perfetto per interpretare Satana in un'eventuale trasposizione cinematografica del Paradiso perduto. O lui o Bradley Cooper. Anzi no: Sam Worthington. Ce lo vedo proprio, con quegli occhi rivolti al cielo, mentre si solleva in volo da un lago di fuoco..."
"Okay..."
"Tra l'altro c'è un quadro di Franz von Stuck che raffigura l'angelo caduto e gli somiglia da morire!"
"..."
Ma ci sono stati anche casi peggiori, tipo quando ho telefonato ad Anny perché avevo paura della Maddalena Lignea di Donatello, del ritratto del principe de La Bella e la Bestia o dell'evoluzione della specie. Sì, avevo appena finito di sfogliare col mio cuginetto un libro sui dinosauri e, tornando a casa, di sera, completamente solo, sobbalzavano ad ogni rombo di motocicletta pensando che fosse un velociraptor. Sono il tipo di persona che si spaventa persino del trailer di Scary Movie.
Fortunatamente per Catherine, i più oscuri misteri che dovrà indagare a Northanger, tra ipocrisie e atteggiamenti ambigui, non sono che le contraddizioni dell'essere umano.

Illustrazione di Doogie Horner per la copertina di Orgoglio, Pregiudizio e Zombie di Seth Grahame-Smith

mercoledì 1 ottobre 2014

Pubblicità insopportabili #36 - Un Neruda per tutte le occasioni

Pablo Neruda: uno dei poeti più... l'unico poeta che molta gente conosca, nonché una vacca che i pubblicitari continuano a mungere ininterrottamente. I discendenti avrebbero diritto ad una fornitura a vita di Baci Perugina. In più, non passa giorno che un vostro amico di Facebook (uno di quelli che evitate con cura di salutare per strada) vi riempi la bacheca con un suo componimento, magari corredato da un'immagine di Titti, Diddle, un neonato con la faccia buffa o una rosa luccicante di gocce di rugiada. La cosa più triste è che molti, di Neruda, conoscono solo la poesia che in realtà non ha mai scritto. "Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine... etc." sono parole di Martha Medeiros, una giornalista e scrittrice brasiliana, ma hanno continuato a circolare per anni incrostando la reputazione del poeta, che di sicuro scriveva dediche più belle sui diari di scuola dei suoi compagnucci delle elementari.
Da qualche giorno anche la Mutti ha deciso di spolpare l'opera del Premio Nobel cileno:


La mia prima reazione è stata: "ma 'sta roba l'ha scritta davvero Neruda?" Poi, dopo le dovute ricerche, mi sono reso conto che i pubblicitari, con la stessa disinvoltura con cui hanno ignorato il suo impegno politico trasformandolo nel poeta più commerciale di sempre, hanno anche ristretto un componimento di gran lunga più sugoso di quello da loro proposto in formato tubetto di concentrato:


 La strada
si riempì di pomodori
mezzogiorno,
estate,
la luce
si divide
in due
metà
di pomodoro,
scorre
per le strade
il succo.
A dicembre
il pomodoro
si scatena,
invade
le cucine,
irrompe nei pranzi,
si siede
riposato
sulle credenze,
tra i bicchieri,
i portaburro,
le saliere blu.
Emana
luce propria,
maestà benigna.
Dobbiamo, purtroppo,
assassinarlo:
si affonda
il coltello
nella sua polpa vivente,
è una rossa
viscera,
un sole
fresco,
profondo,
inesauribile,
riempie le insalate
del Cile,
si sposa felicemente
con la chiara cipolla,
e per festeggiare l'unione
si lascia
cadere
olio,
figlio
essenziale dell'ulivo,
sui suoi emisferi socchiusi,
aggiunge
il pepe
la sua fragranza,
il sale il suo magnetismo:
sono le nozze
del giorno,
il prezzemolo
sventola
le sue bandierine,
le patate
bollono vigorosamente,
l'arrosto
bussa
col suo aroma
alla porta,
è ora!
Andiamo!
E sulla tavola,
nel mezzo
dell'estate,
il pomodoro,
astro di terra,
stella
ricorrente
e feconda,
Ci mostra
le sue circonvoluzioni,
i suoi canali,
l'insigne pienezza
e l'abbondanza
senza ossa,
senza corazza,
senza squame né spine,
ci offre
il dono
del suo colore infuocato
e la totalità della sua freschezza.

Illustrazione di Ryo Takemasa.

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