lunedì 28 ottobre 2013

Rendez-vous con gli dei Vudù


Aspettando Halloween, un post da mandar giù in un sorso come un chupito di rum.
E' da tempo immemore che non scrivevo di curiosità pseudo-educative come l'illuminante Guida semiseria alle lingue inventate e/o segrete,  perciò penso sia davvero arrivato il momento di risollevare il livello culturale di questo pretenziosissimo blog, e lo farò iniziandovi, che lo vogliate o no, ad uno dei più affascinanti, inquietanti, ma anche spiritosi (e spiritici) credo del mondo. Dimenticate zombie e bamboline: quelle zozzerie le fanno solo i bokor, cioè gli stregoni malvagi. In realtà  ho appreso che il Vuduismo è una religione orientata verso il bene, come qualunque altra (dichiara di essere). In più è estremamente fantasiosa e sicuramente unica nel suo genere: prendete delle antiche divinità africane appena sbarcate ad Haiti dalle navi negriere, mixatele con i santi cattolici dei colonizzatori, aggiungete al tutto fiumi di rum e shakerate a ritmo di calypso...
Cosa otterrete? Un curioso sincretismo religioso noto come Vudù.
Se gli schizzinosi dei greci non rinunciano mai all'ambrosia per soddisfare i loro palati raffinati, gli dei Vudù hanno gusti molto più semplici e non dicono mai di no ad un drink. Più che assemblee sull'Olimpo le loro sono riunioni degli Alcolisti Anonimi, sebbene poco riuscite: i vuduisti offrono alle loro divinità libagioni di bevande alcoliche e persino omaggi in sigarette e sigari. Ogni nume, inoltre, ha le proprie preferenze: c'è chi esige il rum on the rocks e chi invece i soft-drink, chi accetta solo sigarette senza filtro e chi non può rinunciare a un bel Romeo y Julieta. Buone notizie per gli amanti degli Appletini: nessun dio sembra preferirli, perciò scoliamoceli pure a volontà senza temere di incorrere nell'ira divina.
Insomma, gli dei Vudù, in generale, hanno un modo di fare più rilassato, easy-going e informale rispetto ai colleghi barbuti e perennemente accigliati di altre professioni religiose: niente ordini dall'alto, richieste a trabocchetto (tipo "uccidi tuo figlio per me") o anatemi biblici (tipo "Eva, tu partorirai nel dolore"), ma piuttosto un amichevole "Che c'hai una siga?". I fedeli li chiamano con epiteti affettuosi come "Mamma", "Papà", "cugino" o "signorina", e loro d'altronde non si prendono mai troppo sul serio: sono sboccati, narcisisti, sessualmente disinvolti e un po' irascibili, ma anche bonari e generosi. Il modo in cui sono rappresentati potrebbe sembrare quasi caricaturale all'occhio di noi europei, abituati ad aureole occhiute e tuniche bianche (alcuni, a dire il vero, sembrano appena rientrati da un concerto dei Village People, tipo Agwe), ma al di là del sorriso che può suscitare, questa pratica rivela tragedie come la deportazione, la schiavitù e la povertà. Per questo molte divinità hanno chiaramente una funzione consolatoria.
Innanzitutto i loa (gli dei) sono tantissimi, tutti al servizio dell'elusivo dio supremo, Bondyeu (dal francese bon dieu, "buon dio"). Ecco qui riuniti per l'aperitivo i più pittoreschi:
Erzuli Freda è la loa che dell'amore, della fertilità, della danza, del lusso e dei fiori. Immagino non faccia altro che abbassare la tavoletta del water e raccogliere da terra un'infinità di calzini sporchi, dato che ha ben tre mariti: Damballa, Agwe e Ogoun. Civettuola e vanitosa, adora ricevere in dono gioielli, dolci, profumi e liquori. Veste di rosa e disegna cuoricini dappertutto. Come ogni casalinga disperata, però, Erzuli Freda è intimamente insoddisfatta. Sente che nella sua vita immortale manca qualcosa, per questo essere posseduti da lei è un po' come prendersi una sbornia triste: piangi, sospiri e ti strusci troppo affettuosamente con qualunque straccio d'uomo ti capiti tra le mani. E' associata alla Madonna di Lourdes (ma a me ricorda anche Gabrielle Solis: ce la vedo proprio, ad amoreggiare col giardiniere sedicenne nel capanno degli attrezzi.)
La Sirène, una delle dee più famose, conosciuta anche come Mama Wata, è la tipica bellezza al bagno: dalla vita in su una bellissima donna di colore, dalla vita in giù pesce o serpente. Passa gran parte del suo tempo a pettinarsi i capelli (spero per lei che prima almeno se li piastri), agghindarsi e a rimirarsi nello specchio, e non di rado ha rapporti con gli uomini (benché mi azzarderei ad arguire che la sua singolare anatomia le impedisca di cimentarsi nelle pratiche amatorie tradizionali.) Esige però assoluta fedeltà: passi la coda di pesce, ma le corna mai!
E' una maniaca dell'igiene: le si offrono sempre oggetti profumati, come sapone, incenso e pomate. Negli ultimi tempi i fedeli hanno preso a dedicarle persino libagioni di Coca-Cola. E qualcosa mi dice che a lei piacerebbe di sicuro una bottiglietta col suo nome sopra.
Agwe è il dio delle acque, dei pesci e delle piante acquatiche, nonché protettore di pescatori e marinai. Coraggioso e virile, è rappresentato come un ufficiale gentiluomo: un mulatto dagli occhi verdi che, come Sailor Moon, veste alla marinara. E' conteso tra le due dee sopraccitate, entrambe sensibili al fascino della divisa. Coloro che vengono posseduti da lui sono soliti urlare ordini peggio del capitano di Full Metal Jacket e fare il saluto militare. Non mi stupirei se prendessero anche a cantare In the Navy.
Agwe, comunque, si tratta piuttosto bene: gli vengono offerti champagne, modellini navali (ora so cosa fare del mio modellino della Costa Fortuna ricevuto in omaggio), rum, polvere da sparo, cibi speziati e montoni la cui lana è stata tinta di indaco (quanto a richieste strane, batte anche Madonna.) E' associato tanto a San Ulrico quanto all'Arcangelo Raffaele, anche loro tradizionalmente raffigurati con un pesce in mano.
Poi ci sono Erzuli Danto, la loa della maternità, dichiaratamente lesbica, protettrice delle mamme single, e la malvagia Marinette "dalle braccia secche", scheletrica patrona dei lupi mannari. E pensare che da noi, in Italia, lesbiche, mamme single e lupi mannari devono beccarsi gli sguardi di disapprovazione del parroco... altro che divinità tutelari! (Basterebbe anche maggiore tutela legale.)
Come ogni dinastia mitologica, anche i Vudù hanno la loro famiglia Addams: i ghede, un gruppo di dei mortiferi ma più allupati di Gomez e Morticia. Tra i membri illustri, ricordiamo Baron Lacroix ("il barone della croce" in francese), Baron Cimitière ("il barone del cimitero") e Baron Criminel ("il barone criminale"), ma il più famoso è senza dubbio Baron Samedi ("il barone del sabato"), il dandy della compagnia, dio della morte, della sessualità, della magia e degli zombie, rappresentato solitamente come uno scheletro in smoking, con tanto di cappello a cilindro e occhiali scuri. In mancanza di rum e sigarette, accetta volentieri una coppetta di arachidi tostate e un bel caffè forte. Malgrado il fisico "asciutto", questo latin-lover psicopompo rimorchia più di qualunque altro dio Vudù: bazzica tanto i cimiteri quanto i bordelli, il tutto, naturalmente, di nascosto a sua moglie, l'avvenente Maman Brigitte, una delle rare loa di aspetto caucasico, con la pelle candida e due magnetici occhi verdi capaci di ammaliare qualunque mortale, sebbene i francesismi da scaricatore portuale spesso stonino con la sua immagine da fatalona.
Di gran lunga più educata e zuccherosa è Mademoiselle Charlotte, lo stereotipo della donna europea. Ai suoi devoti ordina solo bevande di colore rosa o blu (quindi immagino che la scelta si riduca agli Elisir Rocchetta, alla Gatorade e all'Angelo azzurro, che, diciamocelo, come drink è decisamente demodé.) Questa dea parla solo francese, perciò anche chi ne è posseduto si esprime in tale stucchevole lingua. Capricciosa e volubile com'è, è difficile ottenere favori da lei: sfortunatamente aiuta solo chi le sta simpatico, altrimenti a quest'ora avrei già una laurea in francese. Chissà se c'è un dio hispano-hablante, però...
Infine chiude il corteo Dinclesin, l'archetipo del colonizzatore e dello schiavista: sempre armato di frusta, è "affetto da una strana forma di cleptomania." Il suo trucco preferito consiste nel versarsi il rum nelle tasche senza bagnarsi, il potere "divino" più invidiato dai comuni mortali dopo la capacità di trasformare l'acqua in vino.
Ora che le presentazioni sono concluse, ditemi voi come si fa a non trovare adorabile un pantheon così!
Spero che questo non richiesto rendez-vous con gli dei Vudù sia stato di vostro gradimento, o almeno vi abbia suggerito qualche idea per festeggiare un Halloween diverso dal solito: magari state già pensando a un travestimento da Baron Samedi, a una seduta spiritica, una crociera ai Caraibi o un happy-hour con banane fritte e Havana Zombie (mai cocktail ebbe nome più azzeccato: provare per credere.) Io, anche per quest'anno, eviterò i rituali magici, visti miei precedenti. Sì, so che la rivelazione potrebbe scioccarvi, ma per un po', negli anni più bui della mia preadolescenza, sono stato anch'io un apprendista stregone. Non temete, sono passati secoli da quando ho deciso di chiudere con le ali di pipistrello e gli hocus pocus, un po' per colpa dell'inflazione, che non ha risparmiato nemmeno gli ingredienti per le pozioni, ma soprattutto perché mio padre cominciava a preoccuparsi davvero. Un giorno eravamo in auto, e lui mi guardava con una faccia scura, finché non si è fatto coraggio e, con un tono maledettamente serio, ha cominciato a dar voce ai suoi timori con queste esatte parole: "Come sai, a questo mondo c'è la magia bianca e la magia nera..."
Non so come intendesse continuare il predicozzo perché a quel punto sono scoppiato a ridergli in faccia di gusto: non è il genere di discorso che ti aspetteresti da un padre, e soprattutto non da mio padre. Non mi ha mai fatto il discorsetto "sulle api e sui fiori", figuriamoci se potevo immaginarmi che un giorno mi avrebbe fatto delle raccomandazioni sull'uso eticamente corretto della magia.
Eppure non riesco a reprimere un brivido di paura quando ripenso a quella volta in cui io e le mie amichette, appena tredicenni, chiedemmo all'antica dea celtica dell'amore, Aine, di manifestarsi facendo dividere in tre la fiamma della candela, cosa che - vi prego di credermi - avvenne, e per giunta subito dopo la porta della stanza si chiuse di scatto, mossa da un'improvvisa folata di vento. Senza contare poi la mia incauta, prima e ultima esperienza con una bambolina Vudù, che temo sia stata capace di provocare una frattura alla gamba al mio professore di matematica.
A volte mi faccio paura da solo...

Cliccate qui per scaricare la VERSIONE ILLUSTRATA di questo post,
con le superbe illustrazioni di Clyo (il suo blog: La vita puzza), che non
smetterò mai di ringraziare e idolatrare per questo regalo a dir poco divino!

 
 
Buon Ognissanti e a tutti voi un Halloween da urlo!
Intanto, commento o scherzetto...?


lunedì 21 ottobre 2013

Ma che c'è Surreal Time? #8 - Non prendetemi per i fornelli

"Gnocco cerca patata. Astenersi cozze."
Prosegue la nostra descensio ad inferos nel mondo di Real Time, l'unico canale televisivo che ha il coraggio di mostrarvi ventenni hamish con la dentiera, zitelle in sovrappeso che mangiano peli di gatto e coniugi che si trastullano con corroboranti clisteri al caffè. Dopo questo, godetevi la seguente composè: bon appétit!

L'ultima, indigesta portata offerta dalla mensa di Real Time è Ti prendo per la gola: per farla breve, un Uomini e Donne culinario. E grazie a Dio, a differenza di Sing Date, qui nessuno deve cantare.
Una ragazza piacente (ma evidentemente troppo esibizionista  per tenersi uno straccio d'uomo) deve scegliere il suo nuovo partner affidandosi unicamente alle papille gustative.
Ok, forse dovrei spiegarmi meglio: il gioco non prevede che la Tronista di turno assaggi i suoi patinati pretendenti, degusti loro un dito del piede o mangiucchi le loro unghie, ma semplicemente che si lasci sedurre dal piatto più afrodisiaco e abbocchi così all'amo del cuoco misterioso. Messi davanti ai fornelli, i Principi Azzurri sprecherebbero metà del tempo concesso loro a specchiarsi con un cucchiaino, ma per fortuna a guidarli c'è uno chef professionista, Gianluca Esposito, un Nonsochì di Chinonsò con la punta del naso a forma di pomodorino ciliegino, altrimenti noto come Rudolph, la renna che salvò il Natale.
La paraninfa di questo gioco d'amore, la maitresse di questa casa d'appuntamenti col destino è invece Valentina Raffaelli, una designer appena tornata da Amsterdam con lo scopo di importare anche qui in Italia la spettacolarizzazione dell'erotismo ormai tipicamente neerlandese. Ben pochi volti di Real Time riescono ad essere più irritanti di questa new-entry: una specie di lentigginosa Biancaneve dai capelli maltagliati e la voce au gratin. Un misto tra una pin-up, Susanna Tutta Panna, una tatuatrice di Brighton e un manichino di Accessorize. Una figura che sembra uscita da un quadro di Norman Rockwell.
Ma la cosa peggiore di questa leziosa mezzana è l'abominevole abitudine di spiluccare dal piatto della concorrente. Il mio commento al riguardo non può che essere lo stesso di Gualtiero Marchesi dopo aver ascoltato dall'ingenua Benedetta Parodi la ricetta del kedgeree: "Che schifo."
Se anche solo osasse avvicinare la sua sudicia forchetta al mio piatto, la prenderei per la gola. Letteralmente.
Ma lasciamo cuocere nel loro brodo gli spasimanti e trasferiamoci piuttosto nella cucina di Sebastiano Rovida, l'esperto di antipasti mignon ed equilibrismo gastronomico dalla voce fastidiosamente cantilenante. Nel suo nuovo programma, Finger Food Factory, possiamo ammirare tutta la certosina precisione con cui suda sette camicie per produrre un singolo canapè di proporzioni microscopiche, un assaggino che si fa prima a tirar su col naso che a mettere in bocca. E' oltremodo frustrante vederlo impegnarsi tanto i complessi procedimenti alchemici per poi innalzare lillipuziane sculture di cibo stabili quanto un elefante di Dalì.


Non so se l'avete notato, ma Sebastiano, oltre che a cucinare, si sforza anche di fare il simpaticone, nonostante come aiuto-chef a Fuori menù fosse affabile e collaborativo come un astice vivo. Ma il bipolarismo è una caratteristica che accomuna un po' tutti i personaggi di Real Time, come anche le divinità indù: Carla Gozzi in Ma come ti vesti? è una stronza coi fiocchi (e anche con gli strass), ne Il guardaroba perfetto invece veste i panni di Mahatma Fendi.
Replicando l'accoppiata nepotista Renato-Angelo, anche Sebastiano si è munito di un paggetto, il piccolo Leo. Ma da dove salta fuori il puttino? E' uscito da una bustina di Paneangeli, è imparentato col cuoco o l'hanno rapito? Sarà assicurato? Siamo sicuri di volerlo tenere in una cucina dove ci sono coltelli, coppa-pasta e persino la fiamma ossidrica per caramellare? E' legale costringere un bambino a lavorare in cucina, anche se insopportabilmente saccente?
"C'è un lecca-pentole?" ha chiesto un giorno l'assistente in età pediatrica, non riuscendo a versare sul piatto i residui di gelato rimasti ancora attaccati al fondo della boule. Potete immaginare quanto questa domanda mi abbia scioccato, dato che non ho mai sentito parlare di lecca-pentole e che di solito le pentole le lecco io personalmente. Non so cosa mi turbi di più: il suo sfruttamento in quanto minore o la sua padronanza degli strumenti da cucina. Tutto sommato, però, il caro Sebastiano, fiamma ossidrica a parte, non è poi un tutore così sconsiderato.
Chi invece di sicuro i bambini se li mangia a colazione è Giulia Sbernini, che a Junk Good (programma che probabilmente ho seguito solo io), con la scusa di convertire il junk food in cibo salutista, s'ingozza come un tritarifiuti. Trovo inquietante il suo vezzo di personificare le leccornie che prepara (e che gnotte): i falafel li chiama "i miei piccolini", le doughnuts sono "le ragazze" e potrei anche continuare...
Il prossimo programma gastronomico di Real Time sarà condotto dalla strega di Hans e Gretel, in diretta dalla casetta di marzapane.

venerdì 11 ottobre 2013

Pubblicità insopportabili #28 - Once upon a Tim

Ma non c'è un modo per oscurare gli spot di Chiara?

Da qualche parte, oltre l'arcobaleno, c'è una terra di cui una volta ho sentito parlare in una ninna-nanna. Da qualche parte, oltre l'arcobaleno, il cielo è blu e tutti i sogni che osi sognare diventano realtà...
Il mio sogno ultimamente è non rivedere Chiara Galiazzo in tv per almeno un decennio. Sì, perché della sua incoerente epopea non se ne può più già da un bel po'. Mi avvento sul telecomando al minimo accenno alle note di Over the rainbow, il brano più famoso de Il mago di Oz, reinterpretato dalla Galiazzo, che di Judy Garland/Dorothy Gale ha solo le prime due lettere del cognome. Dopo una specie di flashmob/gay pride, siamo stati costretti a seguire la cantante nel suo viaggio verso il successo, a partire da una nebbiosa stazione, un'atmosfera gotica che non promette nulla di buono, se non una lunga serie di spot insopportabili: con un piede sulla banchina e uno sulla scaletta del treno, Chiara si affretta a salutare la nonna, che ad ogni grano del rosario anziché le avemaria pare reciti le tariffe della Tim.
 
Playlist delle puntate precedenti:


Con la benedizione della matriarca, la nostra eroina parte verso il "futuro che sarà", alla ricerca di "un posto nel mondo in cui dipingere nuvole", e decide di molestare la fino ad allora Serenissima, iscrivendosi all'università e dandosi da fare con lavoretti part-time: prima ruba la scena ai cantanti di strada, poi, non contenta, compra tutti i palloncini agli ambulanti magrebini, rivendendoli al doppio del prezzo in spiaggia. I bagnanti non si lasciano ingannare, perciò Chiara, sapendo di non poter tirare troppo la corda, libera nel cielo l'invenduto e si reinventa baby-sitter del lido. E' a questo punto tuttavia che comincia a sentire la mancanza del suo amato Kansas: soverchiata da un nugolo di bambini pestiferi, che si avventano su di lei come feroci scimmie alate, invoca disperata l'aiuto della Fata dei Giochi, la nonna, che le sussurra all'orecchio il segreto alla base di tutta la pedagogia moderna: "le biglie."
"Le biglie!" esclama Chiara, sbalordita. Questa sì che è "avanguardia pura!" Puericultura livello advanced.


L'estate, però, si sa, prima o poi finisce. I bimbi tornano a scuola e mettono via le biglie, ma Chiara continua imperterrita a infrangere le nostre, proseguendo lungo il sentiero dorato che porta allo scadere del contratto con la Telecom. Così come Dorothy trotterella verso la Città di Smeraldo in compagnia di un Leone Codardo in cerca del coraggio, un Boscaiolo di Latta in cerca di un cuore e uno Spaventapasseri in cerca di un cervello, anche Chiara incontra lungo la via un gruppo di fedeli amiche: le sue coinquiline, tutte terribilmente bisognose di un encefalo, anche in affitto, purché funzionante. C'è la bionda Eleonora, la bruna Erika, poi l'asiatica Maya, la riccioluta Martina e infine Mosè, il cane salvato dalle ruote di un tir, che, viste le sue nuove padrone, comincia a rimpiangere l'autostrada.

 
Insieme le cinque Winx vivranno mirabolanti avventure, senza però trascurare lo studio, soprattutto Medicina ("L'Anatomia di Grey costava troppo, ho preso il cofanetto di Grey's Anatomy... sono tipo video-lezioni, no?"), Inglese ("Uolking on d-strit frollé, den ai uok uand-ué...again!"), Economia ("Raga, stasera mega-party a casa nostra, però la consumazione si paga") e Sociologia (", ma è venuta un sacco di gggente! Tipo ma voi li conoscete tutti!?")
La saga di Chiara è l'unica che riesca ad abbracciare ogni genere cinematografico: dall'horror firmato Dario Argento alla commedia all'italiana, dal teen-movie disneyano al fantasy. Manca solo il neorealismo, visto che offre una visione totalmente distorta della vita universitaria. Te le vedi che giocano a dama, cazzeggiano come se non ci fosse un domani o come se non avessero lezione l'indomani, ballano a tutte le ore e sollevano in aria le braccia (rubate all'agricoltura) al grido "Put your hands up!" Mai una volta che facciano le ore piccole sui libri o che alzino le braccia per fare una domanda al prof.
Tutto questo studio matto e disperatissimo non poteva che scatenare le ire del vicino di casa, che, stanco di battere la scopa sul soffitto, si imbuca all'ennesima festa e condensa tutto il suo disappunto in una battuta talmente originale da indurre a pensare sia tratta da una commedia inedita di Eduardo De Filippo.


Quando sono stanche di fare baldoria, di andare "a bere oltre le stelle" e "fumare venti d'immenso", Chiara e le sue vanesie amiche si danno all'ippica, letteralmente. Insomma, qualunque cosa pur di non studiare.
Non so in cosa consista il loro piano di studi, lì nel fatato college di Alfea, ma l'unico hobby che noi universitari veri possiamo permetterci di coltivare senza andare fuori corso è lavarci i capelli una o due volte a settimana. A questo punto non oso pensare a quanto si sarebbe divertita Chiara se avesse accettato di vivere in quell'appartamento in cui erano "tutti maschi??!!"
Tra l'altro, con questi chiari di luna, non so proprio dove trovino i soldi per i corsi di equitazione, i completini da cavallerizze e la jeep rosso fiammante, visto che la maggior parte dei fuori-sede va avanti a scatolette di tonno.
Tornando alle giulive studentesse del team Tim e alla loro lezione pratica di Veterinaria, Martina, in uno slancio di audacia potenzialmente suicida, scioglie le trecce ai cavalli e parte al galoppo sul suo indomito destriero bardato di scaldamuscoli, per poi ritrovarsi sola in una foresta incantata, dove a farle compagnia ci sono solo due inquietanti statue etrusco-ittite capitate lì chissà come, forse rubate dai ruderi del set di Fantaghirò. Fortunatamente, grazie alla app Enchantix, le altre fate riescono a localizzare la squinzia perduta e a riportarla sana e salva al maneggio, ma non prima di aver scattato un centinaio di foto in perfetto stile bimbeminkia.
Non so voi, ma io sono stanco di queste cantanti dei talent show che si circondano di intere comitive di amici finti, scelti dopo chissà quanti casting. Non hanno amici veri, dico io? Amici veri che siano almeno lontanamente presentabili, intendo? Possibile che siano peggio di quelle quattro?
Parlo di Chiara, ma anche di Emma Marrone. Nello spot di Line la star di Amici dai suoi amici fittizi viene persino bidonata! "Perdonaci, non ce la facciamo a venire al concerto: si è rotto il pullman."
Sì, come no, sempre la solita musica!

Purtroppo, continua...

domenica 6 ottobre 2013

Ma che c'è Surreal Time? #7 - Benedetta cucina!

Benedetta passa a Real Time: ci starà come il cacio sui maccheroni o come un cavolo a merenda?
Ho cercato di disintossicarmi, ma ci sono ricaduto. Fa il suo ritorno, a grande richiesta,
la rubrica più irreale di sempre, con una "grande novità"...

Da quando ho scoperto le incredibili proprietà rilassanti della Nigella, non riesco più a farne a meno. Non parlo dell'olio essenziale di Nigella sativa, anche detta sesamo nero, ma di Nigella Lawson, la Monica Bellucci dei fornelli inglesi. Mi basta guardarla o anche solo lasciarla lì che cucina, mentre studio e sbrigo le mie faccende, per sentirmi in pace con il mondo.
Tutto merito di quella voce calda e suadente, di quella luce che ha negli occhi, delle sue forme generose e della golosità quasi infantile con cui assaggia ogni sua ricetta. Non sopporto l'aggettivo "burrosa" spalmato su una donna, ma non credo esista vocabolo più adatto a descriverla: a costo di sembrarvi un maniaco potenzialmente cannibale, penso che se la mettessi in padella si scioglierebbe lentamente rilasciando un avvolgente profumo di buono... 
Ammirare Nigella che cucina è un'esperienza mistica in 3D: sembra quasi di sentire il profumo dei brownies e trovarsi lì con lei, ad aspettare che si raffreddino per assaggiarli. L'unico sottofondo è quello dei rassicuranti rumori della cucina: il riversarsi untuoso dell'olio, le fusa dei fornelli, il fruscio delle sue lunghe ciglia finte, il sobbollire delle uova in purgatorio. Te ne stai lì, immerso in quella sabatina tranquillità, senza essere importunato da stupide canzoncine, che su Real Time sono quasi sempre cover in chiave swing di canzoni famose (vedi Csaba, e soprattutto Renato). Per carità, lo swing può anche essere divertente, ma dopo cinque minuti non se ne può più di My Sharona cantata dalle Sorelle Marinetti o Highway to hell reinterpretata dalle gemelle Kessler.


Il video è un po' lungo, ma basta un piccolo assaggio
per rimanere incantati.

Dipendesse da me, ordinerei Nigella a pranzo, colazione e cena, ma inspiegabilmente Real Time ha pensato di aggiungere una nuova portata al suo già ricco menù: Benedetta Parodi, un prodotto non proprio di stagione, ma che, se congelato nel modo giusto, conserva pressoché intatte le sue proprietà organolettiche.
Ma mi chiedo, c'era proprio bisogno di un altro sedicente chef? Non c'è già abbastanza gente a darci dentro col batticarne?
La nuova trasmissione di "zia Bene" non arriverà prima del mese dei morti, giusto in tempo per pestarci la pazienza nel mortaio, ma considerando i pasticci che ha preparato su Mediatett prima e  La7 poi, è meglio cominciare sin da ora a prepararci psicologicamente all'evento. Con quel sorriso da pesce rombo e la goffaggine di Pippo, non so davvero come possa pensare di competere con la polposa Nigella, questa Afrodite britannica nata dalle acque ribollenti di una bouillabaisse e giunta a noi su una capasanta sospinta dalla ventola del forno.
Però sono felice che Benny non sia più costretta alla mission impossible del "Salvacena", una tortura che prevedeva la preparazione di un intero pasto da completare in una manciata di minuti, scanditi dall'ansiogeno count-down di tutta la dinastia Parodi al completo: la prole, la mamma, la comare, la sorella disoccupata e il perennemente allupato marito Fabio: "Manca un minuto al TG! Spicciati!"
Mi faceva un po' pena vederla affannarsi e agitarsi per tutta la cucina come un pollo senza testa. La poverina doveva mescolare il sughetto tenendo il cucchiaio tra le dita dei piedi, sminuzzare le carote con tutte le braccia a disposizione e nel frattempo azionare il frullatore premendo il pulsante con una testata. Okay, Benedetta salva la cena, ma a lei chi è che la salva?
In ogni caso spero che si tolga il vizio di leccarsi le dita e, soprattutto, che la pianti di emettere quel suono umidiccio che fa con la bocca mentre parla. Non so bene come descriverlo... anzi sì: è una specie di risucchio a denti stretti che trovo oltremodo ributtante.



Un video istruttivo su quanti doppi sensi si possono
fare sulle pere, dall'autoerotismo ai clisteri.
Non perdete il momento fetish al minuto 08.41.
Vi segnalo anche un'altra ospitata con un altissimo
momento di televisione (al minuto 04.27).
Protagonista uno spremiagrumi dal curioso design.

Per chi se lo fosse perso, c'era già stato un primo cross-over tra la sofisticata La7 e la patinata Real Time lo scorso autunno, quando la Parodi ha accolto nella sua cucina niente meno che Carla Gozzi. Per l'occasione, la fashionista dai capelli color Calvè ci ha preparato una tristissima zuppa di cavolfiore ipocalorica (non sia mai che la Gozzi s'ingozzi) e ci ha rivelato il suo look da perfetta casalinga anni '50: un paio di mules con pizzo, una petite robe noire e una robe tablier di pizzo. Un outfit comodo e pratico, insomma. Anch'io dopotutto cucino in marsina, cilindro e monocolo.
Scopriamo inoltre che Carla Non-Magna, oltre ad essere un'esperta di stile, è anche una campionessa di stile libero, che non rinuncerebbe mai ai suoi dieci minuti di sport quotidiani e che ha eliminato il sale dalla sua dieta, dato che preferisce utilizzarlo in altri modi, tipo rotolarcisi per conservarsi meglio nei secoli.


Carla Gozzi: dai volant ai vol-au-vent 
00.45 - Carla annuncia "una grande novità";
06.32 - La mise da cucina di Carla;07.15 - Carla dice no al sale;
08.00 - Lezione di aerobica;
13.05 - Et voilà: vomito di gatto.

La nostra argentea guru della moda improvvisa anche una lezione di aerobica, mandando in brodo di giuggiole Benedetta con un esercizio per assottigliare il punto-vita, da fare mentre cuociono i broccoli, che guarda caso è noto come swing: la bionica Carla, sorprendendo chi, come me, la credeva fatta di un unico pezzo di titanio, riesce a flettere le ginocchia senza doversi lubrificare le giunture cromate, poi si aggrappa al piano-cucina e comincia a dondolarsi con le gambe a destra e sinistra, come se si fosse seduta su di un'invisibile ma scivolosissima tazza del gabinetto. Un allenamento semplice e divertente, da accompagnare magari alle musichette swing sopracitate. Onestamente non so proprio come faccia, questa benedetta donna, ad essere alla moda, sportiva, salutista, perfetta in tutto e rigida come uno stoccafisso. Quando una goccia di brodo di cavoli le è schizzata addosso e l'ho vista emettere delle scintille, ho avuto la conferma che Carla Gozzi è effettivamente un cyborg. Anche perché non mi è sfuggito lo sguardo peccaminoso che ha rivolto al mixer ad immersione (non mi stupirebbe se i robot come lei li utilizzassero nei momenti di relax al posto dei vibratori.)
Tornando a Sottiletta Parodi, non ci resta che aspettare novembre per il suo nuovo programma. Vi starete senz'altro chiedendo che cosa bolle in pentola, e magari state già pregustato un nuovo, originalissimo format che darà una rimestata al palinsesto televisivo...
E invece no. Le hanno rifilato gli avanzi: l'edizione italiana di un talent per pasticceri, Bake off. Una pizza di programma, insomma. Più che cotto e mangiato, scotto e già masticato.  

Il post è in continuo aggiornamento...

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