lunedì 20 maggio 2013

Gatsby? Quale Gatsby? "Il grande Gatsby" di Baz Luhrmann

Leonardo DiCaprio brinda in onore de Il Tè, che oggi festeggia il 100° post.
Grazie a tutti per il vostro sostegno!
Non capisco proprio perchè non si possa apprezzare un film e un romanzo per le rispettive qualità, per quanto possano essere differenti. Lo sguardo della critica sull'ultima creatura di Baz Luhrmann è stato impietoso, come gli occhi del dottor Eckleburg puntati con freddezza sul polveroso purgatorio della periferia newyorkese.
Eppure nessuno ha avuto il coraggio di dire che Carey Mulligan (la ridacchiante Kitty di Orgoglio e pregiudizio), scelta per impersonare la trasognata, evanescente Daisy, è oltremodo... brutta, almeno per quest'epoca. Quando la coppia Buchanan fa la sua prima apparizione, più che dinanzi a Tom e Daisy sembra di trovarsi al cospetto di Tom e Jerry. Più di una scena, in effetti, potrebbe benissimo avere impresso il marchio Hanna-Barbera: mi riferisco alle improbabili gare automobilistiche degne di Wacky Races - Le corse pazze, e ancora - perdonate l'accanimento - alla faccia da Braccobaldo bastonato della Mulligan. Tobey Maguire, poi, che ha ben poco dell'intellettuale Nick Carraway, ci costringe a sopportare l'espressione intrinsecamente ebete del suo viso. Joel Edgerton e Isla Fisher rendono giustizia ai personaggi di Tom e Myrtle, mentre è mortificato, a vantaggio dei protagonisti, il ruolo di Jordan Baker: Elizabeth Debicki, che ne veste i panni luccicanti, per tutto il tempo non fa altro che sgranare gli occhi come Betty Boop.
Insomma, difficile non alzare il sopracciglio durante la prima mezz'ora di pellicola, tutto enfasi visiva, spreco di 3D come se non ci fosse un domani, sincretismo musicale e sfavillio disneyano: un giro mozzafiato sulle montagne russe di una New York artefatta e patinata. In realtà, però, Luhrmann si limita a seguire le mosse dello stesso Gatsby: l'esordio ha tutta la frenesia e l'impazienza di un uomo che ha aspettato per anni di rivedere la donna che ama, e tutta l'opulenza e la fastosità (ben oltre il limite del kitsch) di chi non chiede altro che essere notato. Feste e baccanali, tuttavia, non riescono a riportare Daisy tra le braccia del suo vecchio amore. Per quello basterà un tè, in cui Gatsby potrà togliere la maschera di re Mida e mostrarsi in tutta la sua vulnerabilità. E' a questo punto che il ritmo della narrazione rallenta, che lo spettatore può riprendere fiato e vivere le lunghe notti insonni di Gatsby, esplorare l'estrema solitudine che circonda ogni sognatore.

Come già con Shakespeare in Romeo + Juliet, Baz Luhrmann dialoga, in modo del tutto originale e personale, col testo letterario. Il suo approccio è stato frettolosamente bollato come ridondante, didascalico, ma può considerarsi una colpa l'aver voluto includere Fitzgerald nel cast?
Al film forse manca l'eleganza che contraddistingue la prosa dello scrittore, quella volatilità che sembra ispirarsi alla brezza notturna dell'estate sulla East Coast, ma il regista controbilancia aggiungendo tutto il pathos di Moulin Rouge!
Non si può pretendere che un capolavoro della letteratura passi perfettamente intatto, così com'è, dalla penna di Fitzgerald allo schermo, senza fare i conti con la personalità di Luhrmann, col suo genuino, quasi infantile, entusiasmo (forse immortalato nel costante stupore di Maguire) e il suo innato senso del tragico. E' un lavoro che, lungi dall'essere perfetto, rimane comunque seducente.
 Leonardo DiCaprio è ineccepibile nel ruolo di Jay Gatsby, il novello Icaro, che "mira in alto", fatalmente attratto dalla luce verde del pontile di Villa Buchanan, l'esca fluorescente di un mostruoso pesce degli abissi. Il bagliore che lo blandisce, verde come la speranza e il denaro, è l'amore di Daisy, il successo, la ricchezza, il prestigio, l'ambizione titanica del self-made man. Da qui l'insistenza sulle distese d'acqua che separano lembi di terra, l'acqua che è tanto simbolo di distanza, quanto di mutabilità,  possibilità di cambiamento, di quella liquidità sociale in cui Gatsby spera di confondersi per poter entrare a far parte, finalmente, del mondo di Daisy. Da qui il continuo spostarsi dello sguardo da una riva all'altra, l'immagine frustrante di un sogno lontano eppure perfettamente visibile all'orizzonte, in modo quasi derisorio.
 
Jazz e blues incontrano r'n'b e pop in una nuova rapsodia musicale alla Luhrman.
Meraviglioso e struggente il pezzo Young and Beautiful di Lana Del Rey
(s
pero di riuscire a raccattare la versione fox-trot ballata da Gatsby e Daisy.)
 
L'identificazione tra Daisy e il sogno americano è suggerita dalla sua stessa sirenesca voce, che Fitzgerald descrive con parole indimenticabili: "... il tipo di voce che le orecchie seguono come se ogni parola fosse un arrangiamento di note che non verrà mai più suonato. [...] c'era un'eccitazione nella sua voce che gli uomini che l'avevano amata facevano fatica a dimenticare: un irresistibile desiderio cantato, un 'ascoltami' bisbigliato, una promessa che le cose allegre ed eccitanti che aveva appena fatto le avrebbe rifatte di lì a poco." E ancora, "la voce di Daisy è piena di soldi", un'inesauribile cornucopia di promesse splendenti.
Ma in verità Daisy è troppo fragile per capire chi vuole essere, e men che meno è capace di cucire su Gatsby l'identità che lui stesso vorrebbe per sé, l'io che vorrebbe poter comprare come un costoso completo su misura.
Gatsby annega come Leandro, solo nel buio, privato del conforto e della guida di quel faro verde, fiaccola lasciata estinguersi da un'Ero egoista. I ricchi come Daisy e Tom sono "gente sbadata", "rompevano le cose e persone e poi si ritiravano nei loro soldi e nella loro enorme noncuranza o qualunque cosa fosse che li teneva insieme, e lasciavano che fossero altri a pulire lo sporco che lasciavano..."
Il sogno americano rivela tutta la sua ipocrisia: i primi coloni videro nel nuovo continente una terra di infinite possibilità e libertà sconfinata, ma finirono con arroccarsi in nuovi castelli, scimmiottando l'aristocrazia europea e riproducendo la rigida gerarchia sociale da cui erano fuggiti. Tutti, come Gatsby, inseguiamo il futuro sperando di spingerci così avanti da tornare al punto di partenza. Facciamo rotta verso l'ignoto Ovest per raggiungere la vecchia India, e "così remiamo, barche controcorrente, risospinti senza sosta nel passato."
A differenza di Fitzgerald, però, Baz Luhrmann fa un ultimo regalo a quest'uomo dall'eccezionale propensione alla speranza: Gatsby precipita inesorabilmente, ma cade felice, stringendo in mano l'illusione che, alla fine, Daisy lo abbia (chi)amato.

martedì 14 maggio 2013

Pubblicità insopportabili #23 - Strani amori

La stagione più flirtereccia dell'anno non è ancora arrivata, ma l'amore è già nell'aria, o almeno nell'etere. A voi romantici e appassionati di Pubblicità insopportabili non potranno essere sfuggite due dichiarazioni d'amore che farebbero sciogliere anche i cuori più granitici (per quanto queste romantiche manifestazioni d'affetto sortiscano maggior effetto su altre parti anatomiche). Quali ispirati pubblicitari le avranno concepite? Quale perverso Cyrano de Bergerac potrà mai averle suggerite?

 
Cosa può aver portato quest'anima disperata a pensare di conquistare la sua Lucia travestendosi da coniglio gigante? Non so lei, ma io preferirei essere perseguitato dal mostruoso coniglio di Donnie Darko. Almeno non canta.
La scelta della canzone, oltretutto, è un altro inquietante segno della crisi economica: non c'erano abbastanza soldi da dare in pasto alla SIAE per una serenata degna di questo nome. Sarebbe stato meglio risparmiare sul costume. Dopotutto un travestimento del genere avrebbe senso solo se la fanciulla da corteggiare fosse affetta da zoofilia o nascondesse una sordida passione per i giochi di ruolo.

 
Si sa, l'amore è cieco, ma credo che anche certi pubblicitari abbiano qualche problema di vista, e probabilmente non se la passano bene neanche con gli altri sensi, soprattutto il buonsenso. Per chi non avesse avuto il coraggio (o la sfortuna) di vedere l'ultimo spot di Kayak, vi fornisco un breve sunto: un vacanziere, stanco della routine lavorativa e della cravatta (cappio dell'uomo moderno), si gode il suo posto al sole in una spiaggia paradisiaca (verosimilmente in Giamaica), quando, all'improvviso, come posseduto da una principessa Disney, salta su dal lettino e inizia a ballare e a cantare a pieni i polmoni il suo amore per Kayak (anche qui fior fior di parolieri hanno lavorato per mesi), lanciando ardite proposte riproduttive e auto-scritturandosi come protagonista del suo personale, delirante musical tropicale (la mise scelta, tra l'altro, fa tanto Jesus Christ Superstar). La sua passione coinvolge tutti, come le ammalianti note di un limbo, mentre il novello profeta, intrappolato nel limbo tra ragione e follia, saltella lezioso tra la folla, diffondendo la sua parola e predicando l'amore libero. Decisamente troppo libero.  
Ricordo al povero mentecatto che l'ombrellino di carta della sua piña colada non costituisce una protezione sufficiente a scongiurare le insolazioni. Lo dico perché sembra del tutto persuaso del fatto che ci si possa accoppiare con siti web o apparecchi elettronici, convinzione che mi vede fortemente scettico. Se fosse possibile, gran parte degli iPhone in circolazione sarebbero già al nono mese di gravidanza, ingravidati da bimbiminchia e quarantenniminchia col complesso del "io ce l'ho più grosso (lo schermo del tablet)".
Non si può dire, però, che lo spot del sito di viaggi non sia efficace. Ho già voglia di viaggiare: qualunque posto va bene, purché non ci sia il segnale tv.

"Ama il proxy tuo come te stesso"


giovedì 2 maggio 2013

Pubblicità insopportabili #22 - Voci fuori dal coro

Sorprendentemente certe Pubblicità insopportabili riescono a solleticare la mia a lungo sopita spiritualità. Alcune, in particolare, mi richiamano alla mente la preghiera degli Alcolisti Anonimi (non che ne abbia avuto esperienza diretta, ma in ogni telefilm c'è sempre almeno un personaggio che, come la mitica Arianna, finisce con avere una frequentazione più o meno seria col dio Bacco):

Signore,
concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare...



Tipo la voce bovina di questa donna (?). "Muuuuu... Accadì, mi sa che domani torno qui."
No, mi sa che domani torni nella stalla da dove sei venuta.
Essendo intollerante alla spremuta di mucca, non tollero essere rappresentato da una gattamorta col sorriso di Varenne. Sorvoliamo poi sullo slogan in sè e sulla scollatura improbabile della sua t-shirt.

... il coraggio di cambiare quelle che posso...

 

 
Tipo i capelli di queste due sventurate, la barista dell'Aperol Spritz (la capigliatura a nido di cicogna non ti dona per niente, fidati) e Isabeli Fontana, nuova testimonial di Stroili Oro. Mi chiedo cosa mai potrà aver fatto la top-model brasiliana per farsi odiare così tanto dal/la suo/a hair-stylist...
Si comincia bene, con lunghi capelli fluenti e, a seguire, un taglio alla Nelly Furtado, ma poi si va decisamente fuori rotta con un caschetto à la Fantaghirò e, per finire, un effetto unto e bisunto che io ottengo solitamente nei lunghi periodi di nevrotica clausura pre-esame. Penso che, anziché gettare la testa indietro sul lavabo per farsi coccolare dal/la shampista, abbia finito per le calare le trecce nella friggitrice di McDonald's.
Come se non bastasse, la canzone da lei cantata in playback produce un inquietante senso di straniamento.

... la saggezza di conoscerne la differenza.


Già che ci siamo, pregherei anche affinché i califfi di Steve Jobs imparino la differenza tra aggettivi, verbi e sostantivi. Scegliete una categoria grammaticale e andate avanti con quella, no?
Senza contare che queste parole sconnesse gridate da cori di tecnomani entusiasti mi infastidiscono alquanto. Ce l'ho io un aggettivo per voi, da leggere con lo stesso entusiasmo isterico: ESALTATI!

Il coiffeur sarà lo stesso di (suor) Lorena Bianchetti, ci metterei la mano sul... la piastra per capelli.

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