giovedì 23 agosto 2012

Pubblicità insopportabili #10 - La legge di Marta

In realtà quella di cui vi parlerò oggi non è una vera e propria pubblicità insopportabile... lo è diventata perchè ormai sono mesi che non faccio che parodiarla, interpretarla e recitarla a memoria, al punto che è rientrata ufficialmente nel mio repertorio di tormentoni pubblicitari (insieme alle mai abbastanza compiante pubblicità di Lines Seta Ultra, quella della ruota, a quella di Clinians con Valeria Mazza che dice "la mia clinica della belefsa" e allo spot di L'Oreal con Jane Fonda che ammette, orgogliosa: "Ho sessantanove anni... non male, vero?")
Mi riferisco ad un meraviglioso spot, ideato per l'acqua minerale Bezoya, che ho trovato per caso su un sito di esercizi di spagnolo (bisognava guardare la pubblicità e rispondere a delle domande di comprensione). Da quel momento in poi la mia vita non è stata più la stessa...
Ecco la pubblicità con a seguito la traduzione in italiano.


Tutti conosciamo le legge di Murphy, no?
Be', io sono Marta e ho anch'io una legge. La legge di Marta dice che se qualcosa può andar bene, andrà bene, e che, se non possiamo uscire con gli amici, sarà la volta buona per invitarli a mangiare da noi!
Io prendo sempre il meglio dalla vita, per questo bevo acqua minerale Bezoya, l'acqua che, col suo basso livello di mineralizzazione, mi aiuta ad eliminare le tossine e a prendere solo il meglio!
Bezoya, prendi solo il meglio!


Come avrete notato, le donne spagnole, che siano bambine oppure nonne, hanno sempre una voce da ottuagenaria. In secondo luogo, avrete senz'altro fatto caso al modo barbaro in cui Marta pronuncia il nome "Murphy". Sì, dice proprio "Murfi", ma questo è un vezzo tipicamente spagnolo.
Ciononostante, non potrò mai ringraziare abbastanza Marta.
Ormai è la mia guru, la mia life coatch, la mia profetessa e guida spirituale. La sua legge è la mia religione, la mia filosofia di vita, il mantra che mi ha aiutato a superare un periodo nerissimo della mia esistenza e che, sono sicuro, mi aiuterà ancora a lungo.
Il suo ottimismo, la sua joie di vivre sono contagiosi. Ed è per questo che ho voluto presentare anche a voi Marta, creatura eterea e celestiale, erede del Tonino Guerra di "Gianni, l'ottimismo è il profumo della vita!".
Lei ci sarà sempre per voi.
Ogni volta che sarete in dubbio, domandatevi: "Cosa farebbe Marta al posto mio?"
E allora il sorriso angelico di Marta illuminerà il vostro cammino e tutto sarà più chiaro.
Fidatevi di Lei.
E non abbiate paura del futuro: si algo puede salir bien, saldrà bien. Se qualcosa può andar bene, andrà bene.

Adesso è arrivato il momento dei saluti.
Ho deciso di trascorrere una settimana a Madrid, per meditare e studiare più approfonditamente il Verbo di Marta. Che il suo semplice, ma straordinario messaggio possa infondervi la forza per sopportare la mia assenza. Ricordate: prendete sempre il meglio dalla vita.
Mi mancherete!


domenica 19 agosto 2012

"Il rubino di fumo" e "L'ombra nel Nord" di Philip Pullman

Il rubino di fumo
di Philip Pullman, Salani (BES),
266 pg., 9,0 €
Sono sempre stato contrario alle droghe, ma da un po' di tempo inizio a farmi anch'io. Il mio pusher? Un insospettabile professore universitario. Di Oxford. Che risponde al nome di Philip Pullman.
Ho iniziato ad adorarlo con la meravigliosa saga titanico-metafisico-fantasy di Queste oscure materie (La bussola d'oro, La lama sottile e Il cannocchiale d'ambra) e adesso sono passato a droghe più leggere ma comunque godibilissime come la saga  di Sally Lockhart, scritta negli anni '80, un felicissimo incontro tra giallo, thriller, mistero, romanzo storico e di formazione. Non capisco, però, come gli editori italiani possano averla classificata come adatta ai lettori "dai 6 agli 11 anni". Io consiglerei questo tipo di libri ad un bambino di otto anni solo se volessi traumatizzarlo a vita.
In questa prima avventura, le nebbie della Londra vittoriana si confondono con i fumi dell'oppio. Un sottile filo (di fumo) rosso (rubino) avvolge la città in una fitta rete di frodi, inganni e personaggi difficili da dimenticare, come Sally Lockhart, una graziosa sedicenne, orfana e apparentemente indifesa, che in realtà è dotata di una straordinaria mente matematica, un eccezionale fiuto per gli affari, una mira infallibile con la rivoltella e una perfetta conoscenza dell'indostano. Ma l'apparenza inganna anche nel caso dell'antagonista, uno dei personaggi più diabolici di cui possa aver letto: una nonnina con la dentiera che balla.
L'ombra nel Nord
di Philip Pullman, Salani (BES),
317 pg., 10 €
Non sto scherzando.
Avete presente la strega di Hansel e Gretel?
Bene, ora provate a immaginare la nonna di Jack lo Squartatore. Unite le due insieme e avrete il ritratto dell'agghiacciante Mrs Holland.
"Nei libri di Pullman si respira l'atmosfera del grande romanzo popolare dell'Ottocento" dice bene Gianni Biondillo.  La sua scrittura è effettivamente oppiacea: crea dipendenza.
Non riesco proprio a ricordare come sia successo... ma avevo appena finito di leggere Il rubino di fumo, quando ecco che mi ritrovo improvvisamente in una libreria, con la commessa che mi porge sorridente una copia de L'ombra del Nord, il secondo capitolo della tetralogia. Questo episodio è una virata spericolata nel sovrannaturale e nello steampunk, durante il quale, però, si ha tutto il tempo di conoscere meglio la forte personalità di Sally: ci sono pagine in cui è impossibile trattenersi dall'esclamare: "Accidenti, io la amo questa ragazza!".
La lettura scorre alla velocità di un treno impazzito, fino all'impatto traumatico col finale, da cui non uscirete senza qualche ferita. Ma ne vale la pena.
Ed è valsa la pena anche di ignorare la stupidissima citazione dell'Avvenire che fa bella mostra di sè in copertina: "Ci sono tre scrittori inglesi che è possibile collegare tra loro in una immaginaria genealogia: Lewis Carroll, Tolkien e Philip Pullman". Le uniche cose che questi tre autori condividono sono la nazionalità inglese e la straordinaria genialità.

mercoledì 8 agosto 2012

"La collina dei conigli" di Richard Adams

La collina dei conigli
di Richard Adams, BUR,
432 pg., 12,90 €
Estate, tempo di letture sotto l’ombrellone… e per la serie “Le Copertine più Imbarazzanti da Esibire in Spiaggia”, propongo La collina dei conigli di Richard Adams, un solenne romanzo epico “a metà strada tra Tolkien e Orwell” (ma io ci metterei nella mischia anche Omero e Virgilio).
A dispetto del titolo poco accattivante (non che l’originale, Watership Down, sia granché), si tratta di un classico della letteratura moderna, un piccolo capolavoro scritto da Richard Adams negli anni ’70 e ora messo a scongelare sugli scaffali delle nostre librerie (gli arcaismi e i dialettismi della traduzione italiana, però, lasciano a desiderare).
Guerre, vendette, ire funeste, inganni ed enigmatiche profezie: gli ingredienti sono quelli di un poema epico, ma i protagonisti, come avrete ormai intuito, sono dei conigli.
Okay, aspettate un momento… non andate subito via.
Non si tratta di una favoletta piena di animaletti parlanti e un po’ rimbecilliti in stile Hamtaro – piccoli criceti, grandi avventure. I conigli di Adams non sono coniglietti dalle code vaporose che ballonzolano distribuendo ovetti pasquali ai bambini o le leziose bestioline che popolano le favole di Beatrix Potter, ma animali selvatici, tosti, astuti, che lottano con gli unghioli e con i denti per la sopravvivenza. Animali che se le danno di santa ragione, neanche fossero Bud Spencer e Terence Hill.
Adams sì che sa come far sentire qualcuno un coniglio. Bastano poche pagine, e le tue gambe fresche di ceretta si trasformano in lunghe e agili zampe impellicciate. Inizi a correre, e a balzare fulmineo nelle sterminate campagne dello Hampshire, col cuore che dà il ritmo alla tua corsa. E i tuoi sensi sono più veloci delle tue zampe: le tue narici captano il tanfo della volpe nascosta dietro quel cespuglio di viburno, le tue orecchie odono gli zoccoli di un cavallo al trotto da chilometri di distanza. Pochi righi, e sei un coniglio.
Richard Adams apre le porte di un mondo sconosciuto, più vicino alla terra, e fa dei conigli un popolo valoroso, di cui ricostruisce religione, mitologia, cultura e persino linguaggio.
I protagonisti sono figure archetipiche, come il Profeta Inascoltato, la vox clamantis in deserto, ovvero l’esile ed etereo Quintilio, che prevede la distruzione della sua conigliera, e come Cassandra, non viene creduto, se non da pochi, come suo fratello Moscardo. Quest’ultimo è la Guida, la reincarnazione conigliesca di Enea, l’eroe della moderazione, che condurrà via da Troia in fiamme i suoi compagni e li guiderà verso la nuova terra, promessa dagli dèi, dove vestirà i panni di Romolo e darà il via ad un vero e proprio Ratto delle Sabine, per dare inizio ad una nuova, gloriosa dinastia. Ma insieme a loro c’è anche il fiero e indomito Achille, che qui è il forzuto coniglio Sglaili. E Orfeo, il poeta che ammansisce le belve con la sua cetra, qui interpretato dal cantastorie Dente di Leone. E non manca l’ingegnoso Odisseo, dai mille espedienti, nascosto sotto la pelliccia del sagace Mirtillo.
Infine, il coniglio primigenio, quello di cui parlano tutte le leggende: El-ahrairà (“Il Principe dei Mille Nemici”), un po’ Robin Hood, un po’ Prometeo, un po’, ancora, Ulisse. Un trickster che ricorda il Br’er Rabbit della cultura afro-americana, l’astuto coniglio che riesce a farla in barba al leone. E' con questo personaggio avvolto da un’aurea di sacralità, Adams dà corpo al messaggio fondamentale del romanzo: la supremazia della mente sulla forza bruta.

Se avete dato un’occhiata ai quattro episodi della Guida semi-seria alle lingue inventate e/o segrete, saprete quanto io ami le lingue artificiali. A queste si va ad aggiungere il Lapino (dal francese lapin, “coniglio”), la lingua inventata da Adams per questo romanzo, che ha solleticato la mia vanità con la parola, “principe, sovrano”. Si tratta di una lingua estremamente fluffy (o così almeno la definisce il suo creatore), apparentemente influenzata dal gaelico e dall’arabo. Chi dovesse essere interessato, può cliccare su "Continua a leggere..." e consultare il piccolo glossario lapino-italiano per parlare con i vostri amici conigli o per insultare i vostri amici umani senza farvi capire (Siflai hraka, u embliri rà: "mangia la cacca, re dei puzzoni!")

sabato 4 agosto 2012

Rehab in Salento

 Ci sono due modi (più o meno sani) per reagire ad un’apocalittica delusione d’amore: 1. Rimanere a letto per settimane, trangugiando chili di gelato e cantando in preda ai singhiozzi All by myself in stile Bridget Jones, oppure 2.  Darsi alla fuga e partire per un lungo viaggio consolatorio.
Trovandomi in questa malaugurata situazione, ho avuto quanto meno la fortuna di disporre dell’opzione 2 e sono letteralmente schizzato in Salento per una settimana scacciapensieri a base di sule, mare e ientu.
Come compagni di viaggio, ho scelto un’agguerrita squadra di supporto: la mia migliore amica Anny, mia sorella e il mio futuro cognato (perciò cognaturo). La partenza non è stata molto promettente: il tragitto in auto si è trasformato ben presto in un viaggio della speranza, visto che mia sorella ha ritenuto di dover portare il suo intero guardaroba e una rifornimento di vettovaglie sufficiente a mantenerci in vita di qui alla Terza Guerra Mondiale. Insomma, io e Anny ci siamo ritrovati sul sedile posteriore, schiacciati da quintali di pasta, patatine e bottiglie di tè freddo, con un inespugnabile muro di borsoni e valige a dividerci. Eravamo costretti a parlare attraverso una minuscola fessura ricavata tra il suo beauty-case e la borsa porta-scarpe di mia sorella, neanche fossimo Piramo e Tisbe. O i protagonisti di Sepolti in macchina (il nuovo reality di Real Time).
A tutto questo si aggiunge l’incessante vibrare del mio cellulare. Non era chi pensate voi (e chi speravo che fosse): lo stalker era semplicemente mio zio, il Cosmopolita, che ci ha prestato la sua residenza estiva per questa settimana e voleva assicurarsi che conoscessimo a memoria i suoi avvertimenti, le sue regole e le velate minacce. Vi propongo una selezione delle sue innumerevoli raccomandazioni (una telefonata per ognuna):
1. Seguite scrupolosamente il calendario del servizio di raccolta rifiuti (la raccolta differenziata in Salento è una specie di credo religioso, il che è lodevole, ma non ricordo di aver mai provato così tanta ansia e apprensione prima di gettare qualcosa nel bidone dell’immondizia);
2. Se i cani della vicina abbaiano, non lanciate imprecazioni, né maledizioni o anatemi biblici. I cani non le capirebbero, ma la padrona ha le orecchie ben aperte e potrebbe risentirsene;
3. Prendete tutto quello che volete dalla dispensa, ma non toccate nulla che abbia scritte in cinese sulla confezione;
4. Tenete sempre chiusa la porta del giardino, perché è stato recentemente avvistato un topo di grosse dimensioni (ho sperato fino all’ultimo giorno di scovare il nascondiglio della pantegana, da me battezzata “Passeggiatrice”, ma invano);
5. Ho ricavato delle lanterne da giardino da dei vecchi clisteri. Usatele, sono bellissime! (questa evito di commentarla);
6. Se non avete niente di meglio da fare, vi sarei grato se sbrinaste il frigorifero (a questo punto ho pensato: “lo sapevo che c’era la magagna!”)
E infinite altre regole e divieti...
Mi aspettavo anche un “7. L’ala ovest della casa è proibita”.
Dopo due ore di viaggio, con il fondoschiena ormai del tutto necrotico, raggiungiamo finalmente Giuliano (Julie, per gli amici), che no, non è il gatto di Andrea, ma un minuscolo paesino incastonato in un agglomerato di mille altri minuscoli paesini che finiscono quasi tutti in -ano. Mio zio, il Cosmopolita, ci dà il benvenuto ficcandoci del finocchio selvatico in bocca e ci fa fare un tour della casa, uno speziato mix di antiquariato ed esotismo, dal Salotto Vintage, con radio d’epoca e divani damascati rosso sangue e muniti di frange charleston, alla Stanza del Monaco, spartana camera da letto allestita giù in cantina. Io e Anny abbiamo diviso il sontuoso letto a baldacchino di quella che abbiamo ribattezzato la Camera Gotica: oltre al candelabro a bracci e l’immensa volta affrescata, c’era un forziere chiuso a chiave e una porta misteriosa, un po’ come la stanza di Emily nei I misteri di Udolpho.
Vi sfido a indovinare cosa si cela nel forziere e dietro la porta del mistero.
Ma di misteri, in questa settimana di relax, io ed Anny ne abbiamo incontrati molti altri. Per esempio, quello del gabinetto, che emette, di tanto in tanto, un lamento straziante, da far accapponare la pelle: si tratta quasi certamente dello spirito di una fanciulla che si è suicidata dopo la fine di un flirt estivo su cui lei aveva investito troppo.
Il mistero, però, non giace solo nella penombra di antiche dimore salentine, ma serpeggia anche sotto il sole cocente delle spiagge: una mattina, mentre rosolavamo a fuoco lento sui nostri teli mare, io e Anny abbiamo captato l’inquietante conversazione di una coppietta di passaggio:
“Allora, lo facciamo, il loof?” incalza lui,  mettendo una mano sulla spalla unta di crema solare della sua ragazza.
“E facciamo il loof!” risponde lei, sistemandosi il fiocchetto del costume.
Per giorni e giorni ci siamo arrovellati il cervello, chiedendoci cosa mai possa significare “loof” (pr. all’inglese “luf”). Secondo Anny è una pietanza, mentre io sono quasi certo si tratti di un’inconsueta e pericolosa tecnica amatoria.
Malgrado queste angoscianti incognite (molte delle quali rimaste senza risposta), la settimana di villeggiatura è stata soddisfacente: quando io ed Anny non eravamo in spiaggia, impegnati nei nostri programmi di rimorchio selvaggio (“Sì, rimorchio… da dietro” ha commentato Anny, scettica), ho trascorso quasi tutto il mio tempo sull’amaca del giardino di zio Cosmopolita. Dondolando dolcemente a pochi centimetri da terra, come un novello Barone Rampante, ho potuto dedicarmi a tre delle mie attività preferite: leggere, isolarmi dal mondo ed evocare l’elusiva Passeggiatrice (“Passeggiatriceeee… vieni fuori! Dove sei?”).
Vi ho già anticipato che di Passeggiatrice non abbiamo trovato traccia, ma molti altri animali selvatici hanno turbato l’afosa quiete del nostro soggiorno salentino, come nel caso di Bella, la libellula purpurea che ha terrorizzato Anny sin dal nostro arrivo. Oppure Spettro, il ragno curioso che una sera si è calato in stile Mission Impossibl
e dal nostro baldacchino (inizialmente ho cercato di rassicurare Anny, ma poi ho vacillato di fronte alle spropositate dimensioni dell’aracnide e sono dovuto ricorrere all’aiuto di mio cognaturo, onde evitare scene di panico come nella pubblicità di Mentos.)


So che non morivate dalla voglia, ma adesso beccatevi questo mio scatto vagamente osé!
(foto di Anny)

Altra nota stonata è quella delle campane della chiesetta in fondo alla strada, che ci svegliavano ogni mattina con un maledetto e interminabile scampanio che neanche al matrimonio di Cenerentola.
Mettendo da parte misteri, sterili giochi di sguardi sulla spiaggia, animali mitologici e rintocchi festosi alle sette di mattina, la nostra è stata anche una vacanza culturale:  abbiamo visitato la splendida Otranto (che a proposito di romanzi gotici, ne ha ispirato il primo in assoluto: il castello di Otranto di Horace Walpole), con il suo meraviglioso panorama e la suggestiva cattedrale, per non dimenticare poi il castello aragonese, che ospita anche una bellissima mostra di Andy Warhol.
Dopo un lungo pellegrinaggio, abbiamo esplorato anche l’oasi di Porto Selvaggio, definita da alcuni come “la spiaggia più bella di tutte le Puglie”, nonché raccomandata caldamente da riviste autorevoli come Glamour. Una discesa rocciosa ci ha permesso di ammirare la vista mozzafiato della scogliera, del mare cristallino e della fitta foresta di pini d’Aleppo (peccato che anche questa discesa, come molte altre di mia conoscenza, abbia il vizio di trasformarsi in una salita: ho dovuto sfoggiare tutta la mia agilità di capra di montagna).
Né la guida turistica né Glamour, però, fa accenno di un’ectoplasmatica creatura che popola le spiagge di Porto Selvaggio:  la donna più candida che abbia mai visto. Una bagnante francese dalla pelle color bianco ottico, da far male agli occhi. Praticamente un beluga. Un’Estranea uscita da Il Trono di Spade.
Non esagero: non ho mai visto un candore così abbacinante. Ho provato a scattarle un paio di foto da vendere alla Società Internazionale di Criptozoologia, ma il riflesso della luce ha reso inutile ogni tentativo.
Dopo tutte queste meravigliose avventure,  però, il momento del rientro all’ovile è arrivato più in fretta di quanto desiderassi.
Torno a casa con cinquanta sfumature di marrone sulla pelle, la sceneggiatura di una telenovela scritta a quattro mani con Anny (Lecho de rosas, intrighi, crimini e passioni sullo sfondo di una torbida Bogotá), il mio (tanto agognato) braccialetto macramè al polso e il corpo tonificato dall’acquagym.
Sto bene. Per ora.
Ma so che appena avrò varcato la soglia di casa questo spirito di patate svanirà e verrò assalito da due instancabili avversari: Angoscia e Senso di Abbandono.
Ma li prenderò a calci nel sedere. Fosse l’ultima cosa che faccio. Magari a ritmo di pizzica. Il ballo nasce come antidoto al morso della tarantola, ma chissà che non funzioni anche per altri mali...

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